Un po’ lo stesso clima che ho attraversato ieri, sul lago, la ritrovo nell’incipit del racconto di Calvino riportato qui sotto. Ieri era caldo, certo, anzi caldissimo. Eh già, questo è un autunno davvero anomalo, come si sente dire in giro ultimamente, specie dopo un’intera settimana di sole. Eppure la trasparenza dell’acqua non apparteneva all’estate. I colori, le luci, erano di novembre. Un sentore di legna muschiata si mescolava alle parole, all’odore dei sassi bagnati, alle sfumature delle foglie. A sera, quando mi sono coricata, ho cercato di trattenere nel buio le immagini della giornata, ho fatto di tutto per portarle con me nel sonno, respirando nella scia delle ore che se n’erano appena andate.
Non gela, da noi, di solito: soltanto alla mattina i cespi d’insalata si svegliano intirizziti, un po’ lividi, e la terra fa una crosta grigia, quasi lunare, che risponde sorda alla zappa. Al piede degli alberi, a dicembre, la terra comincia a pigmentarsi di foglioline gialle che a poco a poco la coprono come una trapunta leggera. L’inverno è più trasparenza d’aria che freddo; e in quell’aria sui rami scheletriti s’accendono centinaia di lampadine rosse: i cachi. (Italo Calvino, “Alba sui rami nudi”, dalla raccolta “Ultimo viene il corvo”)
Nell’orto (foto di A.L.)